WEBBANDO: WING COMMANDER GRATIS

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Direi che il titolo dice tutto. In occasione dell’anniversario commanderiano (passateci il termine) è stata resa disponibile una versione gratuita del capostipite di una delle saghe spaziali più celebri del mondo. La versione, messa alla prova, si è mostrata funzionante sui moderni sistemi senza particolari problemi (eccetto qualche stranezza grafica nella introduzione). Visto che starete imprecando durante la lettura perché si tagli corto e si indichi il link eccovi accontentati HERE

Come è dura (iniziare) l’Avventura con Sorpresa ovvero PROVATI PER VOI: Warren Robinett, Adventure, Atari, 1979

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Trovare la chiave giusta per il cancello giusto, raccogliere la mia fidata spada e andare all’assalto dei tre draghi assassini, affrontare il labirinto, trovare il calice rubato e riportarlo al luogo d’origine, a costo di dover attraversare quelle oscure catacombe armato di una fioca fonte di luce. Come? Pare la vostra festa di compleanno? E chi siete Lord British!?

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Quante volte avete affrontato questi incarichi nella vostra carriera di videogiocatori? Innumerevoli vero? Tra sparatutto, rpg, avventure grafiche e platform le formule del “chiave – porta”, i labirinti e i luoghi oscuri vi sono oramai più noti delle vostre tasche. E se vi dicessi che su schermo il tutto inizio nel 1979, sopra un Atari 2600? ADVENTURE, programmato da Warren Robinett è la prima avventura per console e non è il solo primato, come vedremo tra poco.

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L’ispirazione venne a Robinett dopo aver giocato a “Colossal Cave Adventure – Adventure”, la prima avventura testuale della storia, programmata da Will Crowther nel 1976, per un PDP-10 (un computer che vi avrebbe occupato il soggiorno, supponendo un ampio soggiorno), e ampliata da Don Woods con tanti elementi fantasy. In origine Colossal Cave Adventure prendeva spunto dalla passione di Crowther per la speleologia, infatti il luogo nel quale era ambientata l’avventura era di fatto un sistema di caverne del Kentucky, ma con l’apporto di Woods il tutto prese un aspetto molto più promettente. Woods, non stupisce certo, era un appassionato di Tolkien e il suo apporto fu decisamente influenzato da questo interesse. Robinett, dicevamo, trasse ispirazione da questa avventura testuale per il suo Adventure che doveva essere la trasposizione grafica del concetto di gioco portato sullo schermo da Crowther. La fattibilità di tale “conversione” era tanto dubbia da suscitare perplessità ai vertici dell’Atari e, nonostante una demo presentata da Robinett, il progetto rischiò di essere accantonato quando venne chiesto al programmatore di lavorare ad un videogioco sopra Superman, per sfruttare l’uscita del primo film della saga.

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Robinett passò la palla a John Dunn e si dedicò ad Adventure.  La storia è semplice ma per l’epoca videoludica inedita, il vostro personaggio (un quadratino, praticamente un cursore definito dal programmato “The Man”) deve avventurarsi attraverso vari schermi alla ricerca di un prezioso calice, trafugato dal castello giallo dove si trovava custodito, e riportarlo al suo luogo di origine. Nel corso dell’avventura vi troverete a maneggiare, uno alla volta, diversi oggetti, delle chiavi (ovviamente di colori differenti quante le porte da aprire), una spada che vi consentirà di uccidere i tre draghi (Yorgle, Grundle e Rhindle), un “ponte” che, posizionato al di sopra di un muro vi permetterà di passarci comodamente attraverso, e una calamita che vi permetterà di recuperare oggetti qualora si trovassero al di là della vostra portata o incastrati in un muro (di fatto la idea della calamita nel gioco nacque per ovviare un bug nato durante la lavorazione del programma).

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I draghi rappresentano una sfida crescente, caratterizzati da tre colori differenti, mostrano anche una diversa velocità e aggressività. Se vi attaccano possono uccidervi con due tocchi (a differenza di molti giochi dell’epoca dove era già una sola collisione ad uccidervi). Al primo tocco verrete azzannati, al secondo, se non vi sposterete rapidamente, sarete ingoiati dal drago. A partire dal secondo livello di difficoltà (in tutto 3) farà la sua comparsa un odiosissimo pipistrello che si divertirà a raccogliere gli oggetti (anche sottraendoveli dalle mani) e a portarseli in giro per il livello complicando la vostra ricerca, oltre a diventare più temibili anche i draghi che scorrazzeranno per gli schermi inseguendovi. La traduzione di una avventura testuale in una avventura grafica con ampi aspetti d’azione poteva essere un problema non da poco. Robinett lo ha risolto in maniera molto pratica, dato che non era possibile digitare comandi sopra un Atari 2600, il movimento avrebbe risolto tutto. Il personaggio si spostava sullo schermo grazie al joystick e le azioni di raccolta oggetti e combinazione di oggetti sono ottenute semplicemente con il contatto tra il personaggio e l’oggetto (raccolta e, attraverso pressione del tasto di fuoco, abbandono dell’oggetto) o mettendo a contatto l’oggetto con un altra cosa in modo da sviluppare l’azione (prendere la spada e andare contro al drago equivale ad usarla contro il mostro e ucciderlo, toccare la porta con in mano la chiave corretta provocherà l’apertura della porta e così via). In una prima fase Robinett aveva pensato alla possibilità di permettere al personaggio di raccogliere e gestire più oggetti contemporaneamente, anche attraverso una finestra di inventario, ma la cosa complicava notevolmente il tutto, sia per la selezione degli oggetti da lasciare, sia per le dinamiche del gioco e così preferì optare per la soluzione di un solo oggetto per volta.

Come dicevamo oltre ai castelli e a degli spiazzi dove troverete i draghi, affronterete anche un labirinto e le catacombe dove, altra primizia della serie, a causa della luce limitata scorgerete giusto lo spazio appena attorno al vostro personaggio. Mica male per un programma di 4096 bytes, no? Ma possiamo dire di più. Adventure era innovativo nel panorama videoludico anche perché aveva il Multi-screen, inoltre i nemici avevano una notevole autonomia dato che il programma ne calcolava il movimento anche in vostra assenza dalla stanza, oltre a possedere tutta una serie di reazioni a seconda delle priorità del momento e degli oggetti presenti nello schermo. Inoltre gli oggetti venivano modificati di posizione ad ogni partita (con la possibilità, pur remota, a livello di difficoltà 3, di rendere impossibile la conclusione del gioco a causa del posizionamento della chiave gialla all’interno del castello giallo chiuso).

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Nel manuale si parla di un crudele mago, ma non ne troverete nessuno nel gioco, l’arcano è stato spiegato dallo stesso Robinett: come capita spesso anche per altre produzioni, il manuale di Adventure non venne scritto dal programmatore, ma da una seconda persona (in questo caso Steve Harding) dopo una intensa sessione di gioco; Harding pensò che l’idea di un mago cattivo che sottraeva la coppa incantanta fosse un buon spunto e così restò nel manuale. Inizialmente Robinett pensò di indicare il calice come il Graal ma poi Atari spinse perché si cancellasse ogni sfumatura religiosa dal videogioco. Di Robinett sono i nomi dei tre dragoni e vi aggiunse pure, su consiglio di un amico, il nome del pipistrello (Knubberub), ma forse a causa della impronunciabilità questo ultimo nome non compare nel manuale del gioco. Esiste una terzo animale inizialmente previsto ma non implementato, si trattava di un Roadrunner, un Corridore della Strada, ma dato che Robinett dopo aver creato questo uccello che correva in giro per gli schermi non trovò che funzione affidargli venne eliminato.

Non c’è bisogno di dire che Adventure, per quanto oggi ci possa sembrare semplice, abbia infranto più di una regola dei videogiochi in voga in quel momento e che abbia aperto le porte a tutto quello che è venuto dopo in questo genere, insomma è a buon diritto il papà delle avventure grafiche. Chissà quanto avrà guadagnato Robinett di diritti… niente, il mercato dell’epoca era molto arretrato, i diritti d’autore, se lavoravi all’Atari, restavano alla casa produttrice (nel caso di Adventure parliamo di un gioco che vendette 1 milione di copie!), tu ti dovevi accontentare di uno stipendio fisso, come impiegato, ed eventualmente dei bonus. Se vi capitano tra le mani queste produzioni Atari dei primi anni noterete che non vi è modo di trovare il nome del programmatore, quasi che non vi fosse un ideatore e uno sviluppatore del gioco, ma solo questa misteriosa ditta chiamata Atari che crea ogni cosa. Tale politica fu tra le cause della emoraggia di programmatori che Atari subì alla fine degli anni ’70, in particolare nomi di spicco come David Crane, Larry Kaplan, Alan Miller e Bob Whitehead che, vistisi rifiutate la loro fetta di diritti dall’Atari, se ne andarono fondando la Activision, il 1 ottobre 1979. Per questo le produzioni Activision per Atari presentano a chiare lettere il nome dei programmatori fin dalla confezione.

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Di fatto la politica intransigente dell’Atari fu un boomerang dato che provocò non solo la fuga di alcuni dei migliori programmatori, ma la nascita di agguerriti concorrenti che nel giro di pochi anni divorarono gran parte del mercato di acquirenti dei videogiochi per console*.

Proprio per ovviare a questa fastidiosa situazione presso mamma Atari e certificare, almeno per i posteri, l’identità dell’autore Robinett si inventò, pare ispirato dalla faccenda del supposto messaggio segreto “I buried Paul” in uno dei dischi dei Beatles, quella che prese poi il nome di Easter Egg, l’uovo pasquale con sorpresa che è diventato oramai una aggiunta imprescindibile in molta produzione contemporanea. Il primo Easter Egg consisteva semplicemente in una stanza invisibile, raggiungibile solo attraverso The Grey Dot, oggetto da raccogliere e portare davanti al muro giusto, dove potevate trovare la firma di Robinett quale creatore del gioco, nulla di più. L’Easter Egg nacque insomma con lo scopo di rivendicare un diritto d’autoria che veniva negato sfruttando lo stato ancora molto primitivo del settore commerciale dei videogiochi. A detta dell’autore scovare la stanza nascosta rappresentava, in fin dei conti, la reale conclusione del gioco. La mossa di Robinett poteva essere azzardata, ma in realtà si trattava di un rischio calcolato, tanto più che lasciò poco dopo il lavoro presso Atari (oggi lavora per la Nasa e ha fondato la The Learning Company) dunque anche qualora scoperto non sarebbe certo incorso in punizioni e certo non poteva rischiare di venire “eraso” dal manuale e dalla scatola del videogioco visto che già non c’era… la cosa venne scoperta circa ad un anno dalla uscita, grazi ad un quindicenne di Salt Lake City che descrisse in una lettera a Atari la sua scoperta, e ristamparne una nuova versione priva della “sorpresina” avrebbe significato un dispendio di diverse migliaia di dollari, inoltre la cosa alla fine parve non suscitare fastidi, anzi, a quanto racconta Robinett, il manager dei game designers del 2600, Steve Wright, trovò l’idea molto stimolante, definendola, a quanto pare, “come quando ci si alza alla mattina presto per vedere cosa c’è nell’uovo di Pasqua”, e così l’aggiunta di Robinett venne mantenuta e ottenne pure un nome che fece poi fortuna. A onor del vero parrebbe però non essere questa tutta la storia. Saputo del “fattaccio” l’Atari pensò inizialmente alla possibilità di correggere il videogioco eliminando la stanza incriminata, ma il team di programmatori si mostrò molto poco propenso ad intervenire in tal senso, a quanto risulta Brad Stewart, il programmatore che materialmente, sopra incarico della Atari, aveva individuato nel codice del programma il punto esatto del “easter egg”, dichiarò poi a Robinett  che qualora gli avessero chiesto di porvi rimedio lo avrebbe fatto sostituendo la scritta in questione con “fixed by Brad Stewart”.

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Adventure non ebbe un seguito, Robinett, lasciata l’Atari e fondata la Learning Company, impiegò nuovamente la modalità di gestione degli oggetti ideata per Adventure in un puzzle game a sfondo educativo, Rocky’s Boots (1982), per Apple II, C64 e Pc, dove ci si trovava alle prese con circuiti elettrici; il gioco ebbe un buon successo tanto da avere un seguito, Robot Odissey. Rocky’s Boots, pur non sembrandolo, era in origine il seguito di Adventure dato che la prima idea era un avventura nella quale il protagonista doveva assemblare una macchina per uccidere un mostro, dunque una ulteriore evoluzione dei concetti di raccoglie e connetti gli oggetti mostrati in Adventure.

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Recentemente (2007) è apparso un seguito non ufficiale, Adventure II, ad opera di Ron Lloyd, Keith Erickson e Alan Davis, per Atari 5200. Prodotto da Atari Ages, Adventure II vuole essere a detta degli autori un omaggio all’opera di Robinett, ovviamente le nuove possibilità grafiche vengono sfruttate con l’aumento di colori, personaggi (ma guiderete ancora un cursore), animazioni e oggetti. Non abbiamo avuto modo di provare il gioco e ci limitiamo dunque a fornirvi alcune immagine ed un video di youtube.

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Gli anni sono oramai tanti e certo è davvero difficile immaginare lo stupore dei primi giocatori e quanto Adventure abbia rappresentato una decisa innovazione nel panorama dei videogiochi dell’epoca, ma dobbiamo ammettere che ancora oggi risulta divertente farci qualche partita, il controllo è intuitivo, i labirinti rappresentano uno stimolo senza diventare un incubo, la presenza del maledetto pipistrello dona quel tocco di imprevisto che rende la partita più interessante, mettersi a fare paragoni con i successori non avrebbe molto senso, sarebbe come avere tra le mani la prima ruota e paragonarla agli ultimi ritrovati del settore, possiamo però dire che come “ruota” Adventure si muove ancora molto bene oggi, nel 2013, e se l’aspetto grafico magari ha fatto storcere il naso a qualcuno (in passato c’è chi ha detto che i draghi sembrassero piuttosto delle strane papere) ricordiamo sempre che si trattava di opere affidate alla mano di una sola persona, dall’inizio alla fine, una cosa oramai quasi scomparsa se non forse in certe produzioni indipendenti, un’epoca insomma un po’ pazza, rimpianta da molti programmatori (e parecchi giocatori), quando forse c’erano molti buchi nell’acqua, ma certo a volte saltava fuori il prodotto che non ti aspetti e che ti rivoluziona tutto o lancia un genere dalla lunga vita. Avanti, il calice vi aspetta da qualche parte alla fine del labirinto!

PS: Non poteva mancare un remake. Si tratta di una rifacimento piuttosto fedele, le dinamiche di gioco sono invariate, la grafica è stile giapponese, alla Zelda, e alcune ambientazioni hanno cambiato aspetto, il labirinto è diventato una sorta di zona lacustre e le catacombe una foresta, mantenendo però intatti i percorsi. Non siamo riusciti a verificare la presenza o meno del Easter Egg in questa versione. Il link per scaricare una copia del gioco è nella descrizione del video.

* a proposito della mossa dei programmatori ex Atari che fondarono Activision e Imagic Robinett, nel corso di una intervista, ha affermato che lui e altri ex programmatori Atari, davanti alla constatazione dei milioni di dollari fatti da Crane e compagni, rispetto al nulla incassato da lui e colleghi, decisero di formare il Dumb Shits Club: regola numero uno per l’ammissione è aver fatto programmi per l’Atari senza guadagnarci nulla.

WARREN ROBINETT (classe 1951). Laurea alla Rice University, master universitario in Scienze informatiche presso l’Università della California. Autore per Atari di tre programmi, Slot Race, Adventure e l’educativo Basic Programming. Lasciata Atari è tra i fondatori della Learning Company, dove ha sviluppato diversi educativi, e si occupa di sviluppo di programmi sulla realtà virtuale anche per conto della Nasa. Personalmente si è dichiarato poco interessato al mondo dei videogiochi, a chi gli domanda quale fosse stato il suo videogioco preferito risponde “I was a designer, not a player”

NOTHING HAPPENS, I DON’T UNDERSTAND – La lunga lotta con l’avventura testuale

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Una notte buia in un cimitero desolato. Un albero e poche lapidi, una statua di un angelo, la luna piena. Una testa mozzata giace sul pavimento, lo sguardo fisso in un ultimo istante di estremo orrore, la bocca spalancata nel tentativo di lanciare l’estremo urlo. Un uomo nella penombra di una stanza guarda con orrore una sagoma nera che si staglia al di fuori, nell’apertura della finestra. Una mano emerge dalle acque in un ultimo tentativo disperato. Quanta roba, direte voi. Ma quando mai…

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questo è tutto quello che vedemmo e capimmo di Frankenstein, la nostra prima avventura testuale per C64, e lo potemmo vedere solo grazie al retro della scatola. Edita dalla CRL nel 1987 Frankenstein era il seguito dell’avventura testuale che avremmo voluto provare, Dracula (CRL 1986) della quale avevamo letto, con terrore e ammirazione, la soluzione a puntate sopra alcuni numeri di Zzap (a partire dal Maggio 1988). La leggemmo come un piccolo romanzo del terrore.

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Cosa dire di Dracula? Nulla, non ci abbiamo mai giocato, ma ancora ricordiamo con il brivido proprio di un ragazzino due scene, quella della carrozza che corre nella notte mentre voi, disgraziato, rischiate di congelare se non scovate a tempo una coperta, e quella dell’attacco del vampiro, dopo che vi siete tagliati radendovi la barba. A pensarci bene a quell’epoca volevamo anche The Pawn. Perché? Perché avevamo visto l’immagine di un pupazzo di neve animato (o almeno ci pareva così), mai fare domande a dei bambini e soprattutto mai pretendere risposte sensate…

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Dracula all’epoca dell’uscita fece molto scalpore, non tanto per il gioco (pur di qualità), quanto per essere stato il primo videogioco a meritarsi un “vietato ai minori di 15”, ci pensate? Una avventura testuale con qualche immagine digitalizzata e si becca il vietato ai minori di 15, altri tempi, decisamente altri tempi… la CRL pare che fosse tutt’altro che ostile a tale politica che, anzi, contribuì a creare quell’alone di proibito che incentivò le vendite e così pure Frankenstein ebbe l’onore del suo bel divieto (15 anni) anche se, a quanto pare, non erano tanto fiscali visto che all’epoca certo non avevamo 15 anni… In seguito, nonostante la delusione (diremo poi) per Frankenstein adocchiammo pure Wolfman,

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altro testuale della CRL con censura ai 18, ma il contenuto “sessuale” delle immagini impedì che i genitori accettassero l’acquisto. Vorrei far notare che quello che definiamo contenuto sessuale si limitava a questa immagine

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Altri tempi si diceva, d’altro canto le riviste di videogiochi come Zzap dedicavano ampio spazio sia alle recensioni che alle soluzioni di questi giochi, con rubriche apposite, tra Maghi e Arlecchini, se non è segno questo di una epoca remota!

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Tutte e tre le avventure furono opera di Rod Pike. Diverte scoprire, indagando sul web, che Pike non possedeva un C64, gli venne prestato giusto all’epoca della creazione delle sue avventure testuali (programmate con il Quill). La CRL pubblicò in seguito una avventura dedicata a Jack The Ripper, a cura dei St. Brides, con la quale ottenne il “vietato ai minori di 18”.

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Dicevamo che volevamo Dracula ma prendemmo Frankenstein. La cosa interessante è che la nostra conoscenza dell’inglese era pari a zero, l’avventura era testuale e, ovviamente per l’epoca, completamente in inglese. Praticamente non riuscimmo a farci mai nulla, fino a quando, armati di soluzione, iniziammo ad applicare pedissequamente le indicazioni avanzando in una avventura della quale non capivamo neppure una parola, pagine di descrizioni che ci scorrevano addosso e dopo volevamo pure Wolfman, spiegazioni? Ve lo abbiamo detto prima, non pretendere risposte sensate dai bambini… Dobbiamo ammettere che negli anni la nostra “carriera” di avventurieri testuali è stata davvero molto limitata, a parte un esperimento con una di quelle cassettine a doppio lato, due avventure in tutto, in italiano, trovata in edicola, ci siamo tenuti alla larga dal genere (sarà stato lo shock di Frankenstein?). Delle due avventure, in italiano, da edicola ricordiamo solo vagamente quella ambientata nel far west, non si poteva dire che fosse particolarmente perspicare il parser, anzi si trattava di quei petulanti giochi programmati senza un briciolo di varianti, o azzecchi il termine giusto o ti impalli. Finimmo nuovamente ad usare la soluzione ma per un errore grafico nella parola Tepee (la tenda indiana) ci bloccammo per anni e anni sul maledetto comando “entra nel tepee”, senza alcuna speranza di proseguire. Insomma un secondo shock.

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Ad onore del vero abbiamo giocato e finito (con soluzione…) una avventura testuale, dovevamo farlo per iniziare l’avventura grafica che ci interessava. Parlo di Labyrinth, la prima avventura grafica della LucasArts (all’epoca Lucasfilm) basata sul celebre film con Jennifer Connely e David Bowie (prodotto da Lucas), visto al cinema volemmo pure l’avventura grafica, ma c’era una rognosa (per noi) prima parte completamente testuale, dove voi, maschio o femmina (nell’avventura si poteva scegliere anche il sesso del personaggio e ci parve un particolare carino per l’epoca) dovevate raggiungere il cinema dove veniva trasmesso il film, entrare in sala e… precipitare nella vicenda.

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L’idea di questo curioso inizio, certo d’effetto poi per il passaggio ad una avventura grafica, pare sia uno dei tanti consigli che diede Douglas Adams (sì, proprio quel Douglas Adams) al team di sviluppatori della Lucas. L’interfaccia non era ancora la celebre Scumm, mentre la grafica riprendeva quella di un ignoto (almeno per noi) videogioco/programma della Lucas di nome Habitat, considerato a buon diritto uno dei primi sperimentali RPG Online. Habitat era in realtà una versione ancora beta, il programma completo uscì nel 1988 con il nome di Club Caribe e rappresenta certo un esperimento molto curioso per l’epoca.

L’altro giorno abbiamo deciso di riprovarci e invece di puntare sopra qualche classico (come andrebbe fatto) abbiamo sparato a caso nel mucchio, trovando questo Ring – Le miniere di Uxkluk, prima parte di una serie pubblicata sopra le cassette Epic 3000. Dopo un piccolo caricamento e una schermata di presentazione del titolo ci troviamo in questa situazione…Ring_-_Le_Miniere_di_Uxkluk

e ci piantiamo miseramente! Saremo completamente idioti, ma non siamo riusciti a fargli capire assolutamente nulla, il nostro personaggio non ha reagito a nessun comando, azione, stimolo, verbo, descrizione, nome, indicazione, abbiamo digitato dapprima in italiano, poi in inglese e con il medesimo risultato. Non avendo trovato né un manuale, né una soluzione non siamo riusciti a fare un passo e così siamo rimasti come inebetiti ad osservare questa unica scena e ci siamo chiesti, come non avevamo fatto tanti anni or sono, ma perché cavolo ci abbiamo provato? Forse non torneremo più sulle avventure testuali o forse proveremo qualche grande classico (propendiamo per questa seconda ipotesi).

Storie di GTA

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Chi non conosce Grand Theft Auto? Chi non conosce quel ruttatore scoreggione assassino seriale di Hare Krishna? Alla seconda frase alcuni dei nostri lettori più giovani avranno avuto un attimo di smarrimento.  Questo perché hanno presente il GTA da successo planetario, il GTA III in 3 dimensioni, mentre noi facciamo riferimento ai primi capitoli della serie. I primi Grand Theft Auto erano visti a volo d’uccello, il nostro protagonista vagava liberamente per una cittadina, utilizzando le cabine telefoniche per ricevere missioni, massacrando i passanti, tra questi file di Hare Krishna canterini, rubando auto, moto… il tutto condito da rutti e scorregge, insomma i primi capitoli di GTA avevano una discreta dose di volgarità aggiuntiva, forse più simile a Saint Row, con il passaggio al 3D si assiste ad alcune autocensure, al desiderio di raccontare una storia drammatica e così molte buffonerie (ma non tutte) scompaiono. Non ricordiamo particolari polemiche riguardo ai primi GTA (forse aiutava la grafica meno realistica e il successo vasto ma non mondiale), mentre tutti conoscono bene le assurde e ripetute accuse di “traviare la gioventù” rivolte ai fratelli maggiori in 3d.

Grand Theft Auto, a volte tradotto dai mezzi di informazione (un po’ ridicolmente) come Grande Ladro di Auto, con le sue sessioni di pestaggio, le corse sfrenate, armi a go go, ha attirato l’interesse di numerosi “esperti” a corto di materiale, il risultato è che ogni uscita di un nuovo capitolo è accompagnata dalla inconsapevole pubblicità dello “scandaloso gioco”, quelli della Rockstar sotto sotto se la ridono, le accuse sono stupide quanto quelli che accusavano certi gruppi Rock di essere la causa di suicidi per colpa dei loro messaggi. Non mi risulta che l’Italia, dove il gioco ha riscosso ampio successo, sia stata sommersa da ragazzini che pestano prostitute o fanno pazze corse in città, se poi uno è mentalmente influenzabile anche la pubblicità degli assorbenti può ispirargli omicidi e distruzione…

L’esercizio, dicevamo, si ripete ad ogni giro, a volte anche personaggi “illustri” di settori differenti da quello videoludico o della informazione si lanciano in grida di allarme con risultati, permettete che lo si dica, un po’ grotteschi

A quanto pare si dimentica che chi è arrivato prima del boom videoludico si intratteneva in giochi con fucili di legno o semplici rami, giocava alla guerra, agli indiani (con tanto di scotennamento), si prendeva a cazzotti nel rione, subiva vessazioni dai più corpulenti e così via, attribuire ai videogiochi l’aumento di violenza in una società ci pare una comoda scusa, altro discorso sarebbe chiedersi cosa un continuato e senza controllo utilizzo dei videogiochi, 10 ore al giorno, possa provocare progressivamente nei ragazzi, forse un senso di isolamento acuito, lo spezzarsi di certi legami un tempo naturali, l’illusione che il mondo “online” sia un sostitutivo valido del mondo “offline”, tutti discorsi che ci sembrano più sensati, ma difficilmente i mezzi di informazione si porranno queste cose, meglio un titolo sul prossimo GTA.

Questo post però non nasceva in realtà con l’intento di sottoporvi un pippone psicologico sul gioco ed i giocatori, non ci permetteremmo mai, quanto piuttosto di rendervi noti due piccoli esempi graziosi di ipotesi di trasferimento di giochi contemporanei sopra macchine oramai del passato. Parliamo appunto di GTA e di un GTA sopra macchine a 8 bit. Non intendiamo in questo caso trattare di quei giochi del passato che avessero caratteristiche alla GTA (ma in un prossimo post lo faremo) ma di divertenti esperimenti, giochi teorici, legati al mondo di Grand Theft Auto.

Godetevi dunque questo filmato dove si ricostrusce la missione finale di Grand Theft Auto Vice City sopra un C64, ipotizzando una sua mai avvenuta uscita in quegli anni (attenzione, nel caso non aveste finito GTA V. C. sappiate che il video vi svela la reale conclusione del gioco).

E più genericamente GTA IV sopra una piattaforma 8bit: Large Scale Vehicular Stealing

UNA PULCE NELL’ORECCHIO – DA BUGABOO A QQ#2 The Flea (Mandanga Games, 2011)

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Per la serie a volte ritornano, la Pulce di Paco Suarez ha pensato bene che per celebrare i 20 anni dalla sua non entusiasmante ricomparsa (Poogaboo 1991) fosse il caso di rimboccarsi le maniche (una pulce?) e tornare all’opera e così avevamo appena chiuso il post precedente quando scopriamo che Paco Suarez (assieme a Juan Gargallo e Juanjo Redondo), in occasione del RetroMadrid 2011, ha presentato la nuova reincarnazione del suo primo successo.

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Il gioco è distribuito dalla Mandanga Games e potete scaricare una demo così potrete provare i primi livelli. QQ#2 (ignote le cause di un nome tanto astruso) presenta delle similitudini con l’illustre predecessore, ma anche delle evidenti innovazioni. Invariato il metodo di guida, autentico marchio di fabbrica, mentre l’azione si svolgerà in vari livelli, di dimensioni variabili, dove oltre ad evitare i soliti nemici dovrete raccogliere chiavi, oggetti, armi, usare macchinari, nuotare e trovare alleati per restare vivi fino alla fine del gioco.

Insomma la Pulce è tornata ed è piuttosto agguerrita. Spicca, in senso negativo, la quasi totale assenza di riferimento al co-autore di Bugaboo, Francisco Portalo Calero, e diciamo che tale silenzio è reso evidente dal fatto che, a differenza di Poogaboo, in questo caso la storia di QQ#2 si riaggancia direttamente al lavoro del duo Paco & Paco. Nell’annunciare la vicenda Suarez infatti si riferisce direttamente al capostipite della serie scrivendo:

Ha vuelto. Es ella ¿o él? El alienígena saltarín, conocido como La Pulga, consiguió escapar del planeta Cebolla7 y ha vuelto para continuar su odisea. (22 luglio 2010)

“è tornato, è lei (o lui?). La aliena salterina, conosciuta come La Pulce, riuscita a fuggire dal pianeta Cipolla7 è tornata per continuare la sua odissea”. Non ci pare dunque un caso che nel breve libretto del quale si è parlato nel precedente post Francisco Portalo notasse, con una punta di amarezza, come il suo nome fosse di fatto caduto totalmente nell’oblio in merito a quella collaborazione, In merito al gioco, scorrendo la lista delle notizie relative al “work in progress” di QQ#2, ci imbattiamo in un altro comunicato, datato 29 giugno 2010, dove Paco Suarez si presenta, diciamo così, al pubblico dei più giovani videogiocatori, illustrando la prossima uscita del suo nuovo lavoro.

Algunos de los menos jóvenes me recordarán como uno de aquellos locos que alrededor de mil novecientos ochenta y tantos creábamos los primeros juegos de ordenador personal.

Alcuni dei meno giovani mi ricorderanno come uno di quei pazzi che attorno agli anni ’80 crearono i primi giochi per personal computer

Tengo el honor de ser considerado el creador del primer videojuego español. Fue en 1982 y se llamó La Pulga. Vió la luz en un Sinclair ZX81 (procesador de 8 bits a 4 MHz. 1 kilobyte de memoria, ampliable a 16). Consistía en un humilde asterisco al que tenías que impulsar hábilmente para sacarlo del agujero en que había caído.

Ho l’onore di essere considerato il creatore del primo videogioco spagnolo. Fu nel 1982 e si chiamò La Pulga. Vide la luce sopra un Sinclair ZX81 (processore di 8 bits a 4MHz, 1 kilobyte di memoria ampliabile a 16). Si trattava di un semplice asterisco che si doveva spingere con abilità per farlo uscire dalla buca nella quale era caduto.

Pocos años después, me uní a otros cuatro locos y fundamos uno de los primeros estudios de desarrollo de España. Fue Ópera Soft, que algunos recordarán con nostalgia como los artífices de obras frescas, adictivas y retadoras como “Goody”, “Doctor Livingstone, supongo” o “La Abadía del Crimen”.

Pochi anni dopo, io e altri quattro pazzi, abbiamo fondato uno dei primi studi di sviluppo di videogiochi in Spagna. Fu la Opera Soft, que alcuni ricorderanno con nostalgia come artefice di nuove opere, appassionati e impegnative quali “Goody”, “Doctor Livingstone I suppose” o “La Abadia del Crimen”

Anche in questo caso il collega Portalo non compare, per quanto non sfugga comunque una menzione, in data 29 giugno, dove, in una lista di persone da ringraziare, ricorda anche Paco Portalo “mio primo compare di lavoro nello sviluppo e che collaborò con me nell’adattamento di Bugaboo, La Pulga per Spectrum”. Di fatto, a quanto risulta dalla testimonianza di Portalo, a lui si deve qualcosa di più di una collaborazione per l’adattamento, quanto l’introduzione animata (gli Special Effects, secondo la definizione che appare nei titoli del gioco) e, di fatto, la micro vicenda spaziale a giustificazione dello svolgimento dell’azione. Stupisce dunque che il nuovo gioco contenga nell’incipit l’idea di Portalo, ma in effetti non compaia da nessuna parte il suo ruolo in tal senso, salvo la sua inclusione in una breve lista di generici ringraziamenti. Portalo non compare neppure nella intervista che Suarez concesse a El Pais in occasione del lancio di QQ#2. In compenso da questa intervista veniamo a sapere che all’epoca della Opera Soft si presentò presso di loro un ragazzo di nome Gonzo Suarez, Gonzo si divertì a far sapere al team di programmatori che aveva piratato alcuni loro giochi, subito dopo venne assunto e fu uno degli autori di “Goody”, un gioco che riscosse ampio successo per Spectrum. Gonzo Suarez poi divenne famoso a livello mondiale como autore della serie Commandos, con la Pyro Studios, che rappresentò, dopo anni di totale oblio, il ritorno della Spagna nel panorama videoludico internazionale.

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In una breve introduzione animata vedrete la navicella della Pulce precipitare al suolo e la protagonista cadrà per l’ennesimo dirupo. Questa volta però, scrive Paco Suarez, non si tratta di un pianeta alieno ma della Terra. Come dicevamo a quanto pare la nuova avventura della Pulce (disponibile per windows, mac, linux e per cellulare) dovrebbe presentare maggiori innovazioni rispetto al precedente, ma dobbiamo ammettere di basarci sopra descrizioni, video e la prova del demo perché non abbiamo acquistato il gioco. Se volete riprovare l’emozione del ritorno di un classico (e farci sapere eventualmente le vostre impressioni) potete tentare di acquistarlo (dovrebbe costare meno di un euro) anche se attualmente parrebbe che la parte del sito dedicata all’acquisto del gioco abbia qualche problema.

UNA PULCE DALLA LUNGA VITA E DAI TANTI NOMI – BUGABOO (LA PULGA), INDESCOMP 1983

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Se dovessimo scegliere un gioco come emblema dei tempi che furono quando bastava una manciata di grafica, una musichetta e uno scopo neppure tanto esaltante per tenerci incollati allo schermo ci troveremmo nell’imbarazzo della scelta, ma poi, affidandoci al puro ricordo, forse sceglieremmo BugaBoo, o meglio il Paese Incantato.

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Sì, noi di Matatari non siamo dei puristi del retrogaming (o amarcord videoludico), ci affidiamo a quella nebulosa selva che è il ricordo e dunque non possiamo scindere i giochi dei nostri anni passati dal contesto in cui li abbiamo gustati. Per noi BugaBoo è e resterà Il Paese Incantato delle cassette Mantra,

mantra_20091030_1251014239queste misteriose cassettine a doppia facciata che ci regalavano giusto un paio di giochi. Ci pensiamo e i nostri occhi si popolano già di tante di quelle immagini che, sullo sfondo azzurrino, ci introducevano al gioco che verrà. Il caricamento era peculiare, il logo ufficiale con il principio del celebre Also Spracht Zarathustra, il poema sinfonico di Richard Strauss basato sulla opera di Nietzsche… a conti fatti potrebbe costituire davvero uno dei nostri primi incontri con la musica classica e per quell’epoca certo ne ignoravamo l’uso cinematografico (probabile fonte di ispirazione a giudicare dalla grafica del logo Mantra).

La descrizione (lessicalmente un po’ curiosa) del gioco era abbastanza fantasiosa, anche se alla fine dei conti non è un caso clamorosissimo di totale cambiamento della trama originale del gioco. La protagonista, nell’originale una pulce, viene in questo caso descritta come una cavalletta (evidentemente per i vastissimi salti che è in grado di compiere) di nome Kavy, il cui scopo è raggiungere una vetta evitando di cadere vittima di un mostro preistorico (in realtà un drago) e di piante carnivore. Niente di più, nessun accenno al fatto che in principio del gioco vediamo la nostra “cavalletta” precipitare proprio dalla cima che poi deve raggiungere.  Totalmente assente da questa versione era l’introduzione (difficoltà di modificare i testi? impossibilità di cancellare le indicazioni del gioco originale?), un aspetto che risultò tutt’altro che marginale anche per il successo all’epoca dell’uscita del videogioco. Nella introduzione vediamo, dalla prospettiva di una sonda spaziale, il nostro avvicinamento ad un pianeta sul quale poi atterrerà la sonda con a bordo l’insetto che, saltellando saltellando, precipiterà sul fondo di un burrone dal quale, come si è detto, dovrà fare di tutto per risalire. Ecco un video della versione Spectrum contenente anche l’introduzione mancante:

  Matatari però vuole essere anche il luogo dell’approfondimento, dove le vecchie passioni mai sopite possono rivelare qualcosa di nuovo. Bugaboo significò molto di più che un semplice gioco per il mercato iberico, anzi, a conti fatti, viene oggi visto come il primo videogioco della epoca d’oro del software di quella Nazione. La Golden Age del videogioco spagnolo è popolata in principio di un piccolo numero di programmatori che in pochi anni hanno sviluppato giochi in grado di “sfondare” all’estero, al punto da collocare la Spagna negli anni ’80 come una delle principali produttrici europee di videogames, seconda solo al Regno Unito. Nel firmamento iberico spicca, sopra tutti gli altri, Francisco “Paco” Menéndez (1),

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l’autore di uno dei giochi più celebri all’epoca, La Abadia del Crimen, una adattazione (non ufficiale) per gli 8-bit del pluripremiato Il Nome della Rosa di U. Eco. Si tratta di un gioco che all’epoca dell’uscita non abbiamo avuto modo di provare dato che non ne esisteva una versione per C64. La Abadia del Crimen è considerato il culmine della industria videoludica spagnola e una delle punte di diamante della videoludica a 8 bit e certo rappresentò il canto del cigno di Menéndez che abbandonò in seguito l’ambito del videogioco probabilmente per l’eccessiva deriva commerciale e dunque l’impossibilità di una produzione “casalinga”.

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Se La Abadia ci era sconosciuto, ci risultava invece ben noto un altro gioco di Paco Menéndez (assieme a Fernando Rada e Charlie Granados) ovvero Fred, altro grande successo della Indescomp e che curiosamente ci era arrivato con il medesimo nome, contrariamente alle abitudini, sempre in un’altra cassetta Mantra.

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Il gioco era ottimo per quel poco che potemmo goderne, dico quel poco perché per i misteri di costruzione o di nastro, non si riuscì quasi mai a caricare, nonostante tutti gli sforzi fatti comprese quelle buffe manovre di “scrocchiamento”, sorta di Manovra di Heimlich per le cassette apprese attraverso non sappiamo quale arcaica fonte. Mentre il lato B, contente Sala Giochi (al secolo Lazy Jones), funzionava perfettamente,

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il lato A si ostinava a non dare segni di vita alla fine del caricamento… ma questo post è dedicato a Bugaboo la cui storia però, come vedremo tra poco, ebbe modo di intrecciarsi profondamente a quella di Fred.

L’importanza di Bugaboo, anzi, di “La Pulga” (questo è il titolo originale, ovvero la pulce) fu tale che in occasione della Fiera Internacional del Ocio Gamelab (2009), presso Gijon, in Asturia, fu proprio una statuetta riproducente idealmente l’animaletto di Bugaboo ad essere consegnata ai vincitori delle varie categorie di questo festival del videogioco.

ImmagineImmagine presa dal libro di Francisco Portalo Calero

E uno dei suoi autori, Francisco “Paco” Portalo Calero (l’altro è Francisco “Paco” Suarez Garcia) ha recentemente dato alle stampe un piccolo libricino, edito dalla Universidad de Extremadura e liberamente scaricabile, sul successo straordinario di questo videogioco. Dal libricino veniamo a scoprire particolari davvero curiosi, a parte le vicissitudini con i vari macchinari, scopriamo che di fatto il videogioco “La Pulga” (del quale fu ideatore il solo Paco Suarez nella prima versione per Sinclair ZX81) nacque inizialmente con l’intento di spiegare al fratello come si sviluppavano delle parabole e i risultati di tali parabole, Suarez ebbe l’idea di dare al tutto una veste grafica e così nacque, sotto forma di un piccolo asterisco, “la pulce”.

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Di fatto può sembrare poca cosa, ma in anni nei quali i giochi erano solitamente dei ping pong o dei piccoli labirinti la creazione di Suarez apportava delle novità sia dal punto di vista dello scopo, ma anche dal punto di vista tecnico, infatti il controllo dell’asterisco non era tanto limitato al classico “destra, sinistra, sopra, sotto e bottone di fuoco”, ma si concentrava sul tempo di pressione del pulsante per determinarne di conseguenza una variazione nella forza del salto. Ignoriamo sinceramente se Suarez sia da considerarsi davvero il “creatore” di tale tipo di tecnica di controllo del personaggio, ma certo si trattava di un esempio piuttosto innovativo per l’epoca. Commercializzato sotto il marchio Indescomp il successo fece pensare subito alla necessità di una versione per lo Spectrum ZX che stava per fare la sua comparsa anche nel mercato spagnolo.

A questo punto si aggiunge Paco Portalo Calero che possedeva maggiore competenza con lo Spectrum rispetto a Paco Suarez e così nacque il duo Paco & Paco e il progetto ufficiale della Pulga, poi Bugaboo;  a questi si aggiunse Pedro Ruiz che si occupò invece della versione C64 della quale ricordiamo benissimo l’accompagnamento musicale (il gioco per l’occasione venne ribattezzato in alcune edizioni Booga-boo, tanto per accrescere una confusione onomastica che diverrà sempre più evidente nel corso di questo post).

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Oltre a migliorare e abbellire l’idea iniziale, sfruttando le potenzialità della nuova macchina, Paco & Paco iniziarono a pensare alla possibilità di creare una sorta di introduzione alla vicenda narrata. Il piccolo volume di Paco Portalo ci fornisce altre curiosità relative alla ideazione di tale introduzione che fu praticamente una sua piccola creatura all’interno del progetto generale e come tale nasconde un carattere autobiografico insospettabile. Le stelle che si vedono in principio  non sono casuali, anzi, riproducono il cielo stellato che si poteva vedere il 7 di Luglio del 1983, ovvero la data nella quale Paco Portalo giunse, pieno di speranza, a Madrid dove trovò, con suo enorme stupore, impiego nella Indescomp nel progetto “La Pulga”. Il personaggio giunge, leggiamo nella introduzione, sulla sonda Cebolla-X7 (Cipolla-X7) il nome è un omaggio di Portalo al musicista Jesus Fernandez Medina, detto “Cebolla”, suo caro amico.

Dato che c’erano buone possibilità di uscire dal mercato nazionale il presidente della Indescomp volle cambiare il titolo di “La Pulga” e decise per Bugaboo, termine che la sua segretaria aveva trovato in un dizionario.

QuickSilvNel novembre 1983, distribuito da Quicksilva, Bugaboo (The Flea) sbarcò nel mercato britannico con una buona accoglienza fino a raggiungere la cima dei Top 20 della rivista Your Computer. Le speranze dei due programmatori di proseguire con altre produzioni trovarono però un ostacolo nelle necessità commerciali del momento della Indescomp di consolidare il mercato Amstrad in Spagna (il presidente della Indescomp, marchio distributore dell’Amstrad nella penisola, divenne poi il direttore della Amstrad Espana) e dunque di concentrare gli sforzi per la conversione dei due principali titoli, Bugaboo e Fred, per questa piattaforma. Paco Suarez entrò così nel progetto di conversione, mentre Paco Portalo non aderì e lasciò Madrid per fondare la Badasoft, il duo Paco & Paco non sopravvisse dunque al primo successo e mentre Paco Suarez rimase nell’ambito della programmazione dei videogiochi Paco Portalo se ne allontanò progressivamente.

Non pensate però che la vita di questa pulce sia così breve, a quanto pare hanno una resistenza notevole. Dicevamo del vivo interesse della Indescomp per il mercato Amstrad e di come assieme a Fred la nostra pulce venne selezionata per essere la portabandiera dell’intrattenimento videoludico sulla nuova piattaforma. Per motivi commerciali nel passaggio da Spectrum ad Amstrad Bugaboo cambiò completamente nome divenendo “Roland in the Caves”

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e medesimo destino capitò a Fred che divenne “Roland on the Ropes”.

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L’impressione è che si volesse “creare il personaggio” in previsione di una serie di giochi e così si prendevano i prodotti migliori della  Indescomp e li si trasformava nel principio di una serie. Certo stupisce pensare a come quel buffo e nasuto esploratore, probabilmente influenzato da Indiana Jones e a sua volta probabile fonte di ispirazione, pensiamo, per Rick Dangerous (1989), abbia finito per sostituire una pulce facendo dei salti inauditi da roccia a roccia, ma la logica, soprattutto a quell’epoca, non era poi così richiesta all’interno del panorama videoludico (costituendo a volte una delle attrattive). Sul come sia stato risolto l’apparente ostacolo invalicabile della unificazione dei giochi con il medesimo protagonista diremo tra poco…

La Pulga ha avuto una serie di versioni per diverse piattaforme e, udite udite, un seguito, nel 1991, sempre per ZX Spectrum (e perfino PC!) ad opera ancora di Paco Ruiz, Carlos Diaz e Angel Zarazaga, sotto il marchio Opera Soft, il titolo? POOGABOO (La Pulga II).

Poogaboo“è una pulce? … è un aeroplano?.. è Poogaboo” … ehm

Il seguito non si può certo dire molto ispirato, il gioco parte con la solita caduta nel dirupo (senza alcuna introduzione) e si deve saltellare nel tentativo di riguadagnare l’uscita, braccati sempre da un uccellaccio (pipistrello?). A differenza di Bugaboo però abbiamo la capacità di sparare e possiamo mangiare delle mosche (cosa che ci porta a sospettare che il personaggio, per quello che si capisce dalla grafica, sia in realtà più una rana che una pulce questa volta). Per rendere meno frustrante il gioco (nel 1991 la pazienza dei videogiocatori non era più quella dei primi anni ’80…) abbiamo varie vite e se uccisi riprendiamo circa alla altezza raggiunta prima di morire. Di fatto si tratta più che di un seguito di una sorta di remake ampliato, la buca iniziale (sono previsti nove livelli in tutto per poi ricominciare da capo) è una riproduzione della originale famigerata fossa di Bugaboo. I quasi 10 anni però si sono fatti sentire e quello che risultava innovativo, coinvolgente e divertente al principio degli anni ’80 risulta ora ripetitivo, macchinoso e frustrante e così l’esito presso la critica ed il pubblico fu piuttosto deludente.


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Incuriosisce il fatto che la storia di Poogaboo non tenga quasi conto di Bugaboo (!), se infatti in Bugaboo si parlava di sonde, esplorazioni di pianeti e mondi lontani, magari con un tono per certi versi eccessivo rispetto al tema del gioco in una sorta di sfoggio grafico e narrativo, in Poogaboo ci troviamo davanti ai colori della favoletta, quasi si volesse normalizzare il tono o che si sentisse l’esigenza di narrare una storia più semplice e banale in linea con il gioco stesso. La pulce Bugaboo, leggiamo dal manuale, la nonna del protagonista Poogaboo, aveva deciso di abbandonare la comoda casa (ovvero il cane di Zio Cipriano) per esplorare il mondo ed era per errore caduta in una profonda buca popolata di insetti pericolosi. A causa di una scommessa con la cugina Taagaboo, Poogaboo si ritrova nella medesima disgraziata situazione dopo aver abbandonato la sua casa, la schiena (!) della figlia del sindaco di La Pulga Nueva (dove a quanto pare l’igiene personale è una questione secondaria…). Sempre dal manuale scopriamo che i supposti “pipistrelli” sono Pelicantropi (?). Poogaboo, figlia degli anni ’90, aveva anche un sistema di codice di sicurezza per evitare contraffazioni, la cosa curiosa è che il codice è costituito da termini in caratteri greci (?).


Pelicantropi o Licantropi?

Ma cosa conteneva il manuale (anzi, i manuali dato che esistevano due versioni, una per il mercato inglese e l’altra per quello interno) della originale “La Pulga”?. Ben poco, anzi pochissimo se guardiamo quello iberico. Nel manuale inglese non si specificavano le ragioni della caduta, ma si rimandava esplicitamente alla introduzione per ogni spiegazione dell’accaduto. Il resto consisteva nell’illustrare lo scopo, le modalità di salto e nel ricordare l’unico nemico, ovvero il dragone giallo:

                                As far as I know there is no other way of dying - you can fall
                                            as far as you like, for example.

Tale affermazione non vale ovviamente per la versione C64 dove, oltre al dragone troviamo una mortale pianta carnivora, collocata nella parte inferiore sinistra della mappa di gioco. L’idea venne poi ripresa in Poogaboo dove troviamo una ragnatela da cui è impossibile districarsi.

E Roland in the Caves? Poteva non avere un manuale differente per giustificare il cambio del protagonista? E infatti eccovi in breve la descrizione della vicenda che un giocatore Amstrad ritrovava sulla cassetta del gioco. Siamo nell’anno 2464 e la vostra “Macchina del tempo spaziale” è atterrata sopra un pianeta alieno di nome IVORUS (ora voi mi direte, ma una macchina del tempo non dovrebbe trasportarvi nel TEMPO? Ma questa è spaziale e a quanto pare funziona pure come astronave, boh). Roland scende sul pianeta per esplorare e grazie ad un potere speciale in suo possesso è in grado di assumere l’aspetto tipico degli abitanti del pianeta (giusto per non dover ridisegnare troppo lo sprite..). L’aspetto degli alieni di Ivorus è quello di una sorta di pulce saltellante (ah ecco perché sembro una pulce saltellante… ho il superpotere..). Durante la vostra scampagnata finite in una profonda buca circondati da piante carnivore e uno pterodattilo (sì, il dragone giallo adesso è uno pterodattilo). Quando raggiungerete la salvezza vi ricapiterà l’incidente (sì, c’è scritto così, insomma siete dei pirla che continuano a cadere nella stessa buca) e passetere a nuovo livello con più piante carnivore (rispetto alla versione C64 dove si trovava un’unica, grossa pianta carnivora, la versione Amstrad ha tante piccole piantine disseminate tra roccia e roccia).

E così quello strano esserino che in gioventù avevamo preso per una cavalletta o un grillo era in realtà una e mille cose, un asterisco, una pulce, un astronauta con poteri speciali, ha segnato il boom della industria videoludica spagnola, ha proiettato per un breve periodo alcuni programmatori alla fama europea, si è incarnato ora sopra uno Spectrum, poi sopra un Amstrad, un C64, un MSX, arrivando fino ai PC, e poi non si dica che le pulci sono inutili!

PS: Segnalo l’esitenza di un remake

1) Francisco “Paco” Menéndez ci ha purtroppo già lasciati, suicidandosi a soli 34 anni in quel di Siviglia, nel 1999.